Si può conservare lo spirito di Tolkien fuori dai libri e dai rigidi dogmi imposti da un fandom forse troppo ecumenico? Kentel prova a rispondere a queste domande con le sue personalissime opinioni sulla nuova serie Amazon
Per parlare de ‘Gli Anelli del Potere’ bisogna partire da un presupposto necessario. Si può fare, oggi, nel 2022, un adattamento rispettoso e fedele al materiale fonte senza che i Sacerdoti del Fandom si straccino le vesti? Non possiedo una vera risposta a questa domanda. Quello che so, però, è che è impossibile accontentare tutti. Ci sarà sempre qualcuno che alzerà il ditino e dirà “Non è così! Nel bigliettino di auguri inviato alla prozia Clotilde per l’onomastico nel 1922 l’autore già alla tenera età di 6 anni ha detto che…”. So anche che questo atteggiamento non sarà mai nient’altro che distruttivo e repressivo di qualsiasi creatività. Non sto suggerendo che, negli adattamenti per altri media di opere già note – soprattutto iconiche come quella Tolkeniana – si possa indulgere impunemente in licenze poetiche. Sto però dicendo che nessuno tocca né sconfessa gli originali: sono ancora lì, immacolati, imperituri. E che i vari Luke Skywalker che credono i segreti della Forza risiedano necessariamente, unicamente e univocamente nei preziosissimi Testi Sacri, dovrebbero forse rivedere ‘Gli Ultimi Jedi’ e ascoltare meglio ciò che ha da dire il maestro Yoda.
Ma sto divagando (lo sapete che mi piace stuzzicare le polemichette…). Questo articolo vuole essere un’opinione sincera e molto personale sui primi due episodi della nuova serie Amazon ‘Gli Anelli del Potere’. Un progetto dichiaratamente ambiziosissimo: la produzione televisiva più grandiosa e imponente mai realizzata – specie a livello economico – che, dopo vent’anni dal miracolo Peter Jackson, prova a riportare sugli schermi la magia e le suggestioni dell’opera di Tolkien. Amazon parte però zoppa: i diritti – cioè, le fonti a cui può ispirarsi – sono solo parte delle appendici de Il Signore degli Anelli. Una disamina corposa sulla Terra di Mezzo e sulla sua cronologia, ma non certo dettagliata e precisa come quella enunciata in altri testi. L’occasione però è troppo ghiotta per rinunciare, e il colosso di Jeff Bezos non intende farlo. Nasce così il progetto, forse folle, di muoversi tra le righe del non detto e di tenere le Appendici come un canovaccio necessario. Questo, nella messa in scena della serie, genera diversi problemi soprattutto di carattere temporale, come stiamo per vedere. Attenzione a qualche piccolo spoiler, proseguendo nella lettura!
Gli Anelli del Potere: un pasticcio temporale?
Andiamo con ordine. ‘Gli Anelli del Potere’ sarà una serie in cinque stagioni da circa 10 episodi l’una – 8, per questa prima – che racconterà l’ascesa e la caduta del regno di Númenor, la creazione dei 19 Anelli del Potere e il tradimento di Sauron che, forgiando il ventesimo Unico, scatenò la guerra aperta contro i Popoli Liberi e la sua prima caduta narrata anche nel prologo della trilogia cinematografica de Il Signore degli Anelli. Sono, sulla carta, quasi 3500 anni di storia che vanno condensati in 50 ore di narrazione. Questa enormità di fatti e personaggi, insieme alla necessità di muoversi tra le righe, ha creato un primo problema che è evidentissimo già in questi due episodi appena usciti: la compressione temporale. Nella Seconda Era, i primi segnali di un ritorno di Sauron si ravvisano già nell’anno 500, mentre il Signore Oscuro inizierà a costruire la fortezza di Barad-dûr a Mordor attorno all’anno 1000. Nel 1200 sotto le mentite spoglie di Annatar inganna i fabbri dei Noldor e viene però scacciato dal Lindon da Gil-Galad, mentre Celebrimbor diventa signore dell’Eregion ‘solo’ nel 1350, quando Galadriel e Celeborn sono già sposati, hanno già generato una figlia – Celebrían, nata nel 300, che poi sposerà Elrond (si, Galadriel è la suocera…) e sono già in partenza per l’Est, dove fonderanno il reame di Lórien. L’Eregion, tra l’altro, è stato fondato proprio dalla coppia attorno all’anno 700. La creazione effettiva degli Anelli del Potere inizia invece molto più tardi, circa nel 1500, mentre Sauron forgerà l’Unico Anello ben un secolo dopo, nel 1600 SE. Da qui, l’Età Oscura che ne conseguirà durerà circa altrettanto: Elendil, padre di Isildur, nasce infatti nel 3372 della Seconda Era. Come e quando finisce la guerra lo sappiamo tutti.
Quello che intendo dire con questa lunga disamina è che nella serie non si ha minimamente la percezione dell’effettivo spazio temporale di questi eventi, anzi: tutto sembra condensato, ‘stretto’ nello stesso unico periodo, riducendo i fatti di un’intera Era a quelli di una semplice stagione. Ciò almeno è quello che traspare dai primi due episodi, e non posso prevedere quanto accadrà nel seguito. Posso dire però che per la mia personale percezione della narrazione, e per quello che conosco del materiale fonte, questo è il problema più grosso che ho riscontrato. Ed è un difetto genetico che questa serie ha, avrà e non potrebbe non avere, data la necessità di cambiare le modalità del racconto per il media televisivo. Questo, principalmente, unito a qualche inciampo ritmico di troppo che spezza l’epica generale della storia – specie nelle sequenze dedicate ai Pelopiedi, che mi suonano a volte troppo forzate e stonate per piacermi davvero – mi ha fatto storcere il naso diverse volte. Ciò al netto del personaggio di Nori, splendidamente interpretato da Markella Kavenagh.
Gli Anelli del Potere: diverso ma familiare
Insomma, ‘Gli Anelli del Potere’ fa schifo e non rispetta il materiale fonte? Assolutamente no. Tolte di mezzo le perplessità principali che ho avuto e ho tuttora, delle quali ho cercato di spiegarvi i perché, posso finalmente parlarvi di quello che funziona in questa serie. Ovvero, tutto il resto. Il primo episodio parte con un prologo stupendo, ambientato nella Prima Era, e ci mostra per la prima volta gli Elfi bambini in Aman, oltre a un panorama mozzafiato dei Due Alberi. Un tempo in cui il Mondo era così giovane da non aver ancora mai visto un’aurora. Necessariamente dovendo dribblare alcune cose – come ad esempio Ungoliant e il furto dei Silmaril – la voce di Galadriel ci guida verso il tradimento di Morgoth e la conseguente guerra, che culmina poi nella distruzione del Beleriand e la fine della Prima Era. Galadriel perde il fratello Finrod a causa della guerra contro Sauron, e fa di questa perdita il fulcro del suo desiderio di vendetta nei confronti dell’Oscuro Signore. Questa è una prima grande differenza con la figura classica della Dama cui siamo abituati: una Signora Elfica buona, gentile, ma al tempo stesso severa e imperscrutabile, una Strega e una regnante prima che una guerriera. Nella serie si è scelto di dare più risalto a questo aspetto della sua persona più giovane, cosa che nasce anche sulla scorta della compressione temporale di cui accennavo in precedenza. Morfydd Clark offre però una Galadriel dolorosamente triste nel suo tormento, giovane ma già anziana in ciò che ha visto e vissuto, ancora lontanissima da ciò che sarà quella di Cate Blanchett ma proprio per questo unica e differente in un modo molto interessante e originale. Il suo arco narrativo sarà cruciale sicuramente nella prima stagione, se non per tutto il resto della serie. Quelli che si aspettavano una forzata interpretazione woke del personaggio, se avranno l’onestà di guardare la serie con mente aperta e scevra da pregiudizi, rimarranno stupiti positivamente. Gli altri, andranno a scrivere una review negativa su Rotten Tomatoes credendosi migliori di tutti.
In generale, ciò che riguarda gli Elfi è splendido e splendidamente rappresentato. I debiti nei confronti dell’opera di Peter Jackson sono evidenti e per certi versi ‘ingombranti’ ma nel modo giusto: la sensazione è quella di essere, se non a casa, in un luogo familiare molto vicino ad essa. Le musiche, con i cori eterei a cui Howard Shore ci aveva abituato e che tornano anche nella colonna sonora di Bear McCreary, contribuiscono a costruire queste emozioni e questa familiarità, e ciò non può che essere un bene per un prodotto che si rivolge sia a nuovi spettatori curiosi che allo zoccolo duro degli appassionati tolkeniani. Gil-Galad e Celebrimbor trasudano l’autorevolezza e la dignità che ci si aspetta da un Signore Elfico: l’Alto Re in particolare ha esattamente la fierezza e l’espressione tagliente ma saggia che cercavo in lui e che speravo di trovare in questa serie. A fare da contraltare il giovane Elrond Mezzelfo, nella sua splendida umanità e semplicità. Si intravede già, nella sua empatia e nelle parole che rivolge a Galadriel in uno dei momenti più toccanti del primo episodio, l’animo giganteggiante del futuro signore di Gran Burrone. Sensazione confermata dai momenti condivisi con Durin IV poi a Moria: Elrond è prima di tutto un saggio amico sempre pronto a dare una parola di incoraggiamento e conforto. In barba agli Elfi cui “non bisogna chiedere consiglio, perché non ti diranno né si né no”. C’è poi lo stoico Arondir, personaggio contestatissimo nato apposta per la serie tv, che però riesce a intrigare proprio per la sua calma distaccata che si incrina sapientemente nei momenti di maggiore coinvolgimento emotivo, quando cioè si trova in presenza della donna umana di cui è innamorato, la guaritrice Bronwyn. Arondir è un Elfo Silvano, un ranger di stanza nel Tirharad per vigilare sugli abitanti di quella zona, discendenti di coloro che nei tempi antichi si schierarono con Morgoth. Proprio qui i segnali del ritorno di Sauron si fanno più intensi, e l’Elfo sarà il primo a toccare con mano ciò che sta accadendo. La performance di Ismael Cruz Córdova è molto convincente e dona a questo nuovo personaggio uno spessore che non mi sarei assolutamente aspettato.
La Terra di Mezzo e in generale Arda ne ‘Gli Anelli del Potere’ tornano ad essere luoghi vivi, pulsanti di colori e di meraviglia. Siamo lontani dall’Età Oscura e i tempi sono relativamente pacifici: i grandi regni di Numenoreani, Elfi e Nani sono al massimo dello splendore e la serie non lesina minimamente su questo aspetto. Gli shot aerei, marchio di fabbrica dei film di Jackson, qui tornano nella loro disarmante maestosità. C’è molto poco di CGI e si vede tutta la palpabile fisicità degli esterni. Lindon e l’Eregion sono semplicemente spettacolari, ma l’inquadratura che mi ha letteralmente tolto il fiato è stata quella in Khazad-dûm, che non abbiamo mai visto così viva. La dimora ancestrale dei Nani è qui un regno popolato e centrale nella storia politica e militare della Terra di Mezzo, e i figli di Aulë sono una razza potente e fiera, dai modi burberi come ci si aspetta per ‘tradizione’ ma nel pieno del vigore e della gloria. Tutto questo si riflette in Khazad-dûm, uno dei luoghi che più desideravo vedere e che non mi ha deluso minimamente, anzi.
Meno bene le sezioni dedicate invece ai Pelopiedi, come già accennavo prima. Nori e Poppy richiamano chiaramente sia la coppia Frodo-Sam che quella Merry-Pipino, e servono sia per far sentire ‘a casa’ chi ha visto solo i film sia per settare quell’aspetto avventuroso che caratterizzerà poi i protagonisti mezzuomini de Lo Hobbit e della Trilogia. L’inserimento di questi proto-hobbit però mi è sembrato sempre forzato fin dall’inizio, ben più della storia d’amore tra Arondir e Bronwyn – che invece è molto delicata e appena accennata. Questa sensazione è solo acuita dalla presenza dello Straniero, l’uomo giunto con la meteora nella Terra di Mezzo su cui si sprecano tantissime teorie. Personalmente, sono abbastanza convinto sia uno degli Istari, ma non Gandalf: oltre al fatto che sarebbe troppo scontato, a livello temporale avrebbe molto più senso che si tratti di Saruman o di uno degli stregoni Blu. Solo il tempo ce lo dirà, ma il mistero costruito attorno a questa figura è sicuramente intrigante. Come anche quello attorno ad Halbrand, il naufrago che Galadriel incontra nel secondo episodio e col quale stabilisce un legame di mutuo sostegno. Sarà Sauron sotto mentite spoglie? O un personaggio completamente diverso? Personalmente, spero che alla fine si rivelerà essere il Re degli Stregoni: sarebbe una piega molto più interessante e una storyline sicuramente meno scontata da scoprire, vista la quasi inesistente backstory del personaggio.
Gli Anelli del Potere: un viaggio inaspettato
Insomma, ‘Gli Anelli del Potere’ parte decisamente non con uno ma con ben due passi giusti. Era difficile tenere testa all’enorme peso di responsabilità che ci si aspettava da questa produzione, ma io credo che la strada intrapresa sia quella migliore, se si comprende che era impossibile una riscrittura 1 a 1 dell’opera originale. La serie è un ottimo adattamento che rispetta lo spirito tolkeniano e cerca di raccontarlo attraverso un media differente, che per sua necessità richiede ritmi e metodi narrativi differenti, adattati a quasi un secolo dopo ciò che il Professore aveva originariamente ideato e scritto. Capito questo, si riesce a godersi il Viaggio, senza rodersi il fegato per presunti sacrilegi e travisamenti.
E almeno per quanto riguarda me, questa è un’avventura per la quale desideravo partire da tantissimo tempo.
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