A qualcuno piace lenta… la narrazione. Ma gli appassionati tolkeniani sanno che le cose belle arrivano quando si sa aspettare. E che spesso dopo un prologo fin troppo lungo la storia ti rapisce: niente sarà più come prima
In questi giorni ne ho lette di ogni, su Gli Anelli del Potere. Che non è una serie “realmente tolkeniana”, che è un insulto alla storia originale, che l’autore si rivolterebbe nella tomba. Dopo sei puntate posso dire serenamente che chi muove queste critiche non ha davvero ben capito il progetto di questa serie. L’unico reale appunto che mi sento di fare è il seguente: in un mondo dove i maschi bianchi eterosessuali sono tutti stupidi o incapaci e sono le donne invece a muovere i fili della trama, a governare ed essere di fatto i soli veri personaggi trainanti, dopo un po’ la questione inizia ad essere evidente e a sembrare forzata.
Una decisione sicuramente figlia dei tempi ma che non giustifica appieno alcune scelte narrative, semplicemente perché alla lunga sembra davvero un’imposizione, una stiracchiatura. Tutto il resto, personalmente, lo promuovo a pieni voti. Proseguiamo, ma occhio come sempre agli spoiler!
La quinta e la sesta puntata sono forse le più tolkeniane di tutte. Il canto dei Pelopiedi, all’inizio, è un momento particolarmente commovente e in grado di riportarci subito nelle atmosfere della Contea – dove, e chi legge Tolkien lo sa, si canta e pure parecchio. Memorabile il passaggio che richiama il verso della poesia di Bilbo dedicata ad Aragorn: “Non tutti coloro che vagano sono perduti”. Sfido chiunque ami la Terra di Mezzo a non emozionarsi neanche un po’ di fronte a questi piccoli easter egg.
Per non parlare poi della partenza dei Númenóreani e l’inquadratura finale sulle navi verso la luce del sole. Il mare è un elemento fondamentale della mitologia tolkeniana e nella storyline del potente regno degli Uomini questo filone si ritrova fortissimo, con tutto il suo immaginario e la sua grandezza. In tal senso è davvero azzeccato il personaggio di Elendil, e soprattutto il casting di Lloyd Owen che sembra uscito dalle pagine del romanzo.
Interessantissima anche la linea dedicata al Tirharad: Arondir si conferma un personaggio fondamentale per la parte action – e non solo – della serie, e Ismael Cruz Córdova l’attore giusto per interpretarlo – con buona pace di chi non poteva sopportare l’idea di un Elfo Silvano scuro di pelle. L’enigma del moncone di spada e della sua natura di ‘chiave’ è particolarmente piacevole e destinato a incuriosire fino alla fine del sesto episodio: ma a questo ci arriviamo tra un po’.
La serie soffre purtroppo dei problemi tipici di questi prodotti: indizi messi lì solo per scatenare curiosità che lasciano il tempo che trovano – soprattutto sull’identità reale di alcuni personaggi – fast travel fin troppo scontati (migliaia di miglia in nave in neanche una settimana? Bravi, questi Dunedain) e finti cliffhanger che non possono fattualmente procurare preoccupazione in nessuno che abbia una minima idea di dove e quando siamo (Galadriel, ad esempio, com’è ovvio non può certo morire qui né ora).
Tutti gli approfondimenti della mitologia tolkeniana sono invece eccellenti e dimostrano un buon grado di comprensione delle fonti, con una scrittura furba e intelligente in grado di aprire un piccolo spiraglio nell’enorme corpus di storie dell’autore inglese, oltre che creare anche dei momenti validissimi dovendosi muovere nelle righe del non detto.
Gli Anelli del Potere: al mio segnale, scatenate l’Udûn
Ad esempio sto personalmente adorando Adar: la figura del ‘Signore Padre’ degli orchi è misteriosa e sofferta al punto giusto, e nel confronto con Galadriel verso il finale della sesta puntata c’è anche un momento stupendo in cui viene ulteriormente canonizzata la teoria per la quale gli Orchi sono nient’altro che Elfi torturati e pervertiti da Morgoth. Anche questo, con buona pace degli illustri filologi che oggi vengono a dirci che no, Tolkien non voleva questo, che c’è il problema dell’anima immortale eccetera. Il canone, piaccia o meno, è questo. E quasi si riesce a empatizzare con l’Uruk primigenio e il suo sincero desiderio di trovare una casa per sé stesso e i suoi figli.
Halbrand per ora rimane il principale ‘indiziato’ per il toto-Sauron, anche se continuo a sperare che infine si riveli essere il Re degli Stregoni. Sarebbe un bel twist se il Signore Oscuro fosse infine un personaggio completamente nuovo, ancora mai visto. E chi conosce il Silmarillion sa che da questa sortita dei Númenóreani nella Terra di Mezzo, con Ar-Pharazôn in attesa nella capitale pronto a sobillare gli Uomini del Re, potrebbe essere la scusa perfetta per introdurre il Signore dei Doni Annatar. Che, magari, è già in giro senza che noi spettatori lo si sappia.
Altro approfondimento di trama che in molti hanno detestato e che io invece trovo molto allegorico delle problematiche e delle ossessioni degli Elfi è la discussa origine del Mithril, che in una leggenda apocrifa – Elrond ci tiene a rimarcarlo, non sia mai che a qualcuno da casa possa partire un embolo – diviene il frutto della battaglia tra il più puro degli Elfi e un Balrog di Morgoth. Eru stesso interviene, e un fulmine colpisce l’albero sulla collina dove i due titani combattono: nell’albero era però nascosto un Silmaril, una delle perdute gemme di Fëanor. E la luce del gioiello infonde la nuda roccia di rinnovato potere, puro e splendente come il bene, ma duro e forte come il male.
Questa storia non toglie nulla alla grandezza del leggendario metallo di cui, dai libri, si sa in realtà molto poco. Rimane interessante capire come si evolverà la faccenda, anche se c’è da dire che ci sta già regalando dei momenti molto belli tra Elrond e Durin, seppur sullo sfondo resta un Gil-Galad fin troppo viscido rispetto alla figura eroica che conosciamo dai volumi. Già hanno assicurato che ogni personaggio avrà la sua evoluzione, compreso l’Alto Re, che infine arriverà a essere colui che ha riunito Elfi e Uomini nell’Ultima Alleanza contro Sauron. Sarà interessante lo svolgimento, piuttosto.
E andiamo dunque sul finale della sesta puntata, che sconvolge letteralmente ogni cosa a tutti i livelli: visivo, narrativo, scenografico, fotografico, tutto. Un destino segnato, che tutti conoscevamo già, ma che visto realizzarsi “in diretta” diventa una scena potentissima e indimenticabile. Niente può e potrà essere più come prima, dopo che l’inferno (lUdûn, in lingua Sindarin, appunto come il titolo dell’episodio) si è scatenato sulle Terre del Sud e sui poveri abitanti, illusi di aver trovato la vittoria contro l’oscuro nemico.
Mordor irrompe ne Gli Anelli del Potere con la forza di un vulcano in eruzione, e chiude forse la miglior puntata della serie finora con un vero ottovolante di emozioni. L’iniziale vittoria di Arondir, il trucco degli uomini traditori mascherati da Orchi – che ricorda terribilmente la scena della pioggia di testa ne Il Ritorno del Re – la carica dei cavalieri, e la distruzione finale, inevitabile, definitiva. L’Orodruin si è risvegliato, e Sauron sta arrivando: la Storia della Terra di Mezzo sta per cambiare per sempre. E noi abbiamo il privilegio di potervi assistere.
Le recensioni dei precedenti episodi:
Episodi 1-2
Episodi 3-4