Kentel si svegliò cullato dal dolce movimento delle onde e da un ritmato cigolio. Aprì gli occhi quando una goccia d’acqua gli cadde sul viso, destandolo da quel senso di intorpidimento che lo stringeva. Il mondo dondolava da destra a sinistra e si accorse che la goccia era caduta da un piccolo buco su una trave del soffitto in legno dalla quale riuscivano ad entrare dei timidi raggi di luna. Fece uno sforzo per mettersi a sedere e guardarsi un po’ intorno, ma gli girò subito la testa. Il draenei si portò una mano sulla nuca.
“Preso una brutta botta, eh?”
La voce proveniva dalla sua destra. Era maschile, roca. Si girò per vedere chi aveva parlato. La sua vista era annebbiata, impiegò qualche secondo per mettere a fuoco. Vide delle linee verticali davanti a sé e pensò di avere le vertigini. Poi, Kentel realizzò che erano sbarre.
‘Mi trovo in una cella?’
Il dondolio ed il cigolio del legno non si erano arrestati nemmeno per un secondo.
“Che hai combinato per finire anche tu qui, amico?” Chiese ancora la voce accanto a lui. Provò a guardarlo ancora una volta. Una sagoma pian piano andò prendendo forma. La voce preveniva da una figura seduta poco distante. Kentel vide una testa allungata, con due orecchie a punta. Quest’ultime erano adornate da anelli mentre una moltitudine di capelli grigi scendevano lungo le larghe spalle di quell’essere. Gli occhi erano piccoli, il naso pronunciato, la bocca larga con due zanne che spuntavano dai lati. Anche le braccia ed il torso, che Kentel notò essere nudo come il suo, erano muscolosi. La sua pelle era dello stesso colore dell’acqua. Le gambe erano invece coperte da delle brache scolorite e consumate, strappate e bagnate in più punti. Era scalzo, con i due lunghi piedi che terminavano in sole due lunghe dita.
“Cosa ho combinato…?” Chiese Kentel più a sé stesso che allo sconosciuto vicino mentre con la mano si massaggiava la testa. Si guardò intorno. Era davvero in una cella, così come il suo vicino troll. Dall’esterno ora riusciva anche a sentire il rumore del mare. Quella parte della nave era piuttosto piccola e chiusa. Lo sciamano vide un’entrata solo alla sua destra, ancora più in là della cella del troll e un’altra proprio davanti a sé. Alla sua sinistra invece non c’era nulla se non la parete in legno della nave. Il suo sguardo venne poi attirato da un particolare. Si mosse goffamente verso l’altro lato di quel poco spazio a sua disposizione, scoprendo che gli faceva male anche il costato. C’era un libriccino sgualcito in un angolo. Kentel lo prese in mano e sulle dita sentì l’acqua. Provò a sfogliare, ma diverse pagine erano bagnate e ben poche leggibili. Provò su una pagina a caso, verso la fine.
*”1 Febbraio
Ho saputo che al Crocevia hanno un nuovo sciamano. Dovrei andarci per risolvere questo problema alla schiena.. non ho più l’età per viaggiare così tanto!”
‘È un diario?’ pensò Kentel. Continuò.
“5 Febbraio
Oggi ho rivisto Krogrash, è stata una sorpresa davvero inaspettata! Sapevo che si trovasse a Kalimdor ma ignoravo che si fosse stabilito al Crocevia come sciamano! Sono così contento per lui… Ha sempre con sé i totem del suo amico caduto in guerra… Dice che è la cosa più preziosa che ha!”
La parte in basso era troppo scolorita per essere letta. Kentel girò pagina.
“25 Febbraio
La guerra ormai ha distrutto tutte le vie commerciali! Arrivare alle Terre Spettrali è stata un’impresa! Mi chiedo come mai gli Elfi non riescano a guarire questo posto. Sono sicuro che sarebbe una bella terra in cui vivere. Come mi mancano i miei giorni al Crocevia!”
Sotto c’era l’ultima parte leggibile del libriccino.
“7 Marzo
Sono tornato al Crocevia ma il ritorno è stato più amaro di quanto pensassi. Krogrash sembra improvvisamente cambiato, ha persino bruciato i suoi preziosi totem! Ho provato un po’ a chiedere in giro, e mi hanno detto che lo sciamano del villaggio era cambiato il giorno seguente ad un grande fiera, senza nessun motivo apparente. Qui sono tutti preoccupati per un possibile attacco degli Elfi della Notte. Che peccato che Lady Sylvanas non sia riuscita ad ucciderli tutti insieme al loro maledetto albero. Ma devo sbrigarmi, c’è da preparare il prossimo carico.”
Il draenei fissò per qualche secondo la pagina con l’inchiostro sbiadito, poi fece cadere il libriccino.
“Dove ci stanno portando?” Chiese al troll voltandosi verso di lui. Quest’ultimo si appoggiò comodamente sulle sbarre incrociando le mani dietro la testa.
“Fino a qualche settimana fa ti avrei risposto a Darnassus”, rispose il troll con disinvoltura, “ma fortunatamente quel letamaio ora è un cumulo di cenere. Quindi ti dirò ovunque si trovi quella puttana di Tyrande.”
“Da Tyrande?” ripeté Kentel confuso.
Prima che potesse rivolgere la domanda successiva al troll, dall’apertura davanti a Kentel entrarono due elfi della notte. Erano due donne, vestite nella classica armatura da Sentinelle dei Kaldorei. I loro occhi argentati sembravano scintillare della stessa luce delle piccole lame che portavano alla cintola. Nelle mani avevano una ciotola ciascuno, dalle quali usciva del fumo. Dentro ognuna di esse c’era un cucchiaio in legno. Le elfe posarono le ciotole davanti alle celle, poi fecero per andarsene. Con una veemenza che non credeva di avere, Kentel si precipitò verso di loro, afferrando le sbarre con le entrambe le mani.
“Ehi, voi! Portatemi dal vostro capitano! Posso spiegare tutto, sono uno sciamano del Circolo della Terra!”
Nessuna risposta. Le guardie kaldorei non si voltarono nemmeno a guardarlo.
“Ehi, avete sentito?? Rispondetemi!”
“È inutile amico, per loro siamo uomini morti, non ha senso parlarci…” si mosse in avanti, sedendosi e incrociando le gambe. “Io non mangerei nemmeno quella sbobba.”
“Uomini morti?” Kentel era incredulo.
“Stai blaterando da un sacco di tempo ma ancora non mi hai detto che hai combinato per farti catturare da questi animali notturni”, si lamentò il troll. “Forse sei un amante delle buone maniere e vuoi che mi presenti prima io? Ebbene, mi chiamo Jar’sen, troll dei Darkspear e fedele soldato della Dama Oscura.” Si avvicinò alla ciotola che l’elfa della notte aveva appoggiato davanti alla cella e la svuotò per terra. “E a quanto pare questo è abbastanza per volermi morto.” Tornò a sdraiarsi.
Nel frattempo, Kentel stava concentrandosi per utilizzare la magia degli Elementi. Ma ogni sforzo sembrava vano. Quelle forze primordiali sembravano non sentirlo, le sue braccia erano deboli, la magia non scorreva in lui. Di questo Jer’sen si era accorto. Il draenei si chiese se fosse un incantatore anche lui.
“Sono sforzi inutili, amico. Queste sono celle anti-magia. Saranno dei mangiasterco ma non sono stupidi.”
Kentel tentò un altro paio di volte, poi si arrese all’evidenza.
“Mi chiamo Kentel e….”
Riportò alla mente ciò che era successo. Alucarynn si era svegliata qualche ora dopo con un gran mal di testa. Il gruppo si era messo in cammino verso il bosco che aveva loro indicato il tauren Xly, e Kentel aveva subito chiarito che ad uccidere il mostro che aveva causato la morte degli Elfi del Sangue sarebbe stato lui. “È un problema mio, è giusto che lo risolva e mi sporchi le mani io”, ricordava di aver detto agli altri. Lo sciamano rammentò di come, una volta addentrati nel bosco, furono attaccati da nemici apparentemente invisibili. Frecce, magie… cercarono di mettersi al riparo, ma finirono inevitabilmente per separarsi. Stavano pensando a come muoversi, quando il draenei notò un’ombra muoversi alle spalle di Reyra. Senza pensarci troppo, si alzò dalla sua postazione, convogliando nella mano l’energia naturale e scagliandola nella forma di fulmine contro l’ombra, che cadde a terra con un sonoro tonfo. Lo sciamano si precipitò verso l’elfa del sangue per accertarsi che stesse bene… E vide il cadavere del generale d’alto rango degli Elfi della Notte che aveva appena ucciso. Un istante dopo, aveva sentito un forte dolore alla testa e poi… il vuoto.
“…ho ucciso uno dei loro generali”, disse completando la frase.
Il troll rise. “Allora siamo davvero tutti e due morti, amico! Ti conviene goderti il viaggio, è l’ultimo della tua vita!”
Kentel si mise in piedi. Non aveva nessuna intenzione di morire, non in quel modo.
“Devo assolutamente parlare con il capitano”, affermò risoluto. “Sai se ci sono altri prigionieri a bordo?” Non si sarebbe mai perdonato di aver fatto catturare anche Cadun, Reyra e Alucarynn.
“E che importa?” Rispose Jer’sen. “Non lo so, amico. Magari se ci sono te li fanno salutare prima che la baldracca di Elune di stacchi la testa dal collo.” Rise di nuovo. “Io mi faccio un pisolino. Avvertimi se arriviamo, eh, non voglio perdermi lo spettacolo!”
Dieci minuti dopo, Jer’sen stava già dormendo e il suo russare riempiva quella piccola parte di nave. Kentel si stava scervellando.
‘Non può finire così… Devo almeno scoprire se gli altri sono qui e tentare di tutto per salvarli. Possibile che non ci sia un modo per uscire da qui?” Si guardò intorno, cercando un’apertura. Poi tastò una ad una le sbarre della cella, per controllare se una di esse fosse più usurata delle altre. Nulla. Nessuna via d’uscita. Abbassò lo sguardo a terra, si toccò il braccio nel punto in cui la misteriosa macchia aveva dato inizio a quel viaggio. Pensò ai suoi compagni, si sentì in colpa.
“Se solo avessi qualcuno con cui parlare…” I suoi pensieri uscirono in quel momento dalla sua bocca.
Poi, la luce proveniente dall”apertura davanti alla sua cella si spense per qualche secondo. Da dove erano comparse le due elfe, si ergeva ora una figura più imponente, nascosta dall’ombra della controluce. Il misterioso visitatore fece qualche passo in avanti verso di lui. I raggi della luna che filtravano dall’alto diedero al volto del mercante una luce strana. Se la parte coperta dalle ombre sembrava del tutto normale, quella illuminata apparì a Kentel invece sinistra. La bianca luce nell’occhio destro dell’altro draenei era in qualche modo inquietante.
“Salve, Kentel”, disse con quel suo tono calmo. “Ci incontriamo di nuovo. Mi auguro che tu alla fine abbia trovato Lady Reyra.” Continuò lentamente ad avanzare, avvicinandosi ancora di più alle sbarre.
“Tu… sei il mercante di cristalli… Ad Orgrimmar…”
“Relance!” disse scandendo bene il nome il draenei. “E sembra che tu abbia bisogno di nuovo del mio aiuto… se non vuoi perdere la testa.” Arrivò a portato di braccio fuori dalla cella, ma Kentel non si mosse. Relance si piegò sulle ginocchia.
“A meno che non ti avvelenino prima”, disse guardando la ciotola. “Non ha un aspetto molto promettente”, continuò. Poi rivolse lo sguardo allo sciamano. “Si, insomma, un po’ come la tua situazione attuale…”
Kentel non rispose.
“Sai, potrei anche provare a farti uscire da questo guaio in cui ti sei cacciato, amico mio. Non vuoi finire con la testa infilzata su una picca nel giardino di Tyrande, vero?”
“Certo che no, non per questo!” rispose lo sciamano. “Conosci forse le guardie? Perché mi sto chiedendo altrimenti cosa mai tu potresti…”
“Oh, Kentel”, disse Relance senza permettere al suo compatriota di finire la frase mentre si rimetteva in piedi. “Molto di più di quello che tu possa immaginare. Molto di più.” Afferrò le sbarre con una mano. “Ti aiuterò anche questa volta. Ma dovrai restituirmi il favore.”
Ora anche lo sciamano si era alzato in piedi. “Figurarsi…”, disse mentre i suoi occhi e quelli di Relance si incrociavano. La strana luce gli sembrò ancora più evidente.
“Oh, non fare così”. Il tono dell’altro draenei era affabile. “Sono pur sempre un mercante, ricordi?” Dopo aver detto ciò estrasse dalla sua bisaccia uno dei suoi cristalli e lo espose alla luce lunare. La pietra sembrava essa stessa trattenere un’altra luce e scintillava ai dolci raggi. Kentel notò che era dello stesso colore della pelle di Jer’sen, ancora addormentato. Poi Relance, tornò a guardare lo sciamano.
“Dimmi, vuoi che ti aiuti?”
‘Non ho altra scelta…’
“Si.”
“Affare fatto, allora!” Non c’erano stati cambiamenti nel tono di voce del mercante. “Ricorda, ci vedremo poco fuori Riva del Sud. Lì ti dirò cosa dovrai fare per sdebitarti.”
“Aspetta, anche gli altri…”
Relance ridacchiò. “Non abbiamo parlato di altri, Kentel, ma oggi mi sento buono. Stai tranquillo, i tuoi compagni non sono stati catturati.” Fece per voltarsi e andarsene, ma si fermò.
“Oh, quasi dimenticavo…” schioccò le dita e Kentel avvertì per qualche secondo un bruciore insopportabile nel punto della macchia misteriosa. Tanto intenso da farlo barcollare e farlo urlare di dolore.
“Cosa hai fatto?” chiese con un filo d’ira nella voce.
“Nulla di cui tu debba preoccuparti”, rispose Relance con tono soddisfatto. “E ora… sei libero.”
Poi si voltò ed uscì da dove era arrivato. Lo sciamano si sentì confuso. Tornò a sedersi contro le sbarre mentre in quello stesso momento, Jer’sen si risvegliava.
“Ehi amico, con chi parli? È venuto qualcuno?”
“Con…”
Era sul punto di dirglielo, poi ci ripensò, non sapendo neanche lui il perché.
“…nessuno.”
“Ah, starai perdendo la testa prima del tempo.” Rise.
Seguì qualche minuto di silenzio. Minuti in cui Kentel continuò a interrogarsi su Relance. Perché era lì? Da dove era comparso? E poi aveva detto che era libero ma… era ancora nella cella. Improvvisamente, un boato scosse Kentel, Jer’sen e tutta la nave. I due prigionieri furono sbalzati dalla parte delle loro celle. Si udì un tuono fortissimo e iniziò a piovere abbondantemente.
E poi di nuovo, un altro schianto. La nave si squarciò. L’acqua iniziò ad entrare come un fiume in piena che si riversa nel mare. Una forza tremenda contro cui Kentel tentò di opporsi aggrappandosi alle sbarre. Fu tutto inutile. La furia delle acque lo travolse, gli riempi i polmoni, gli fece perdere conoscenza.
Quando iniziò a riprendersi, il verso dei gabbiani fu il primo suono che sentì.