Capitolo 5: Rovine
Un gelido vento sferzava la faccia di Z e la pioggia che cadeva incessantemente da tre giorni lo aveva ormai reso fradicio. Sentiva il freddo pungergli le ossa, i brividi corrergli come destrieri al galoppo lungo la schiena, ma lui ed i suoi compagni avevano fatto poche soste.
“Non è prudente fermarsi troppo”, aveva detto. “Gli Oscuri possono piombarci addosso da un momento all’altro, è meglio stare più in movimento possibile, fermandoci solo per mangiare e dormire qualche ora.”
Yazeed e Akhouma avevano protestato un po’, affermando di non poter sostenere una marcia troppo serrata con quel poco di cibo che avevano.
‘Da una parte hanno anche ragione’ aveva pensato Z. Le vettovaglie che avevano comprato in quello che un tempo era stato il villaggio di Brill sarebbero bastate al massimo per una settimana ad andatura normale.
D’accordo con lui fu invece l’altro compagno, quello che procedeva a piedi. L’elfo del sangue lo aveva trovato a quella rovina della stalla di Brill, insieme a Yazeed. Era un kaldorei, dai lunghi capelli blu che gli scendevano lungo tutta la schiena, gli occhi che dovevano essere stati due perle d’argento e che ora sembravano più due nuvole di fumo, ed una peluria sul viso solo accennata. L’elfo della notte, un sacerdote del culto di Elune, indossava una tunica che un tempo doveva essere stata bianca ed azzurra, ma ora sbiadita, usurata, e sporca. Ai piedi non portava nulla, ed essi erano neri e callosi, segno che avevano già percorso molte miglia.
“Sentire la terra sotto i piedi mi fa sentire più vicino alla Madre Luna, a lei che migliaia di anni fa camminò sul nostro mondo sorgendo dalle acque.” Così aveva risposto Felris Starlight quando Akhouma gli chiese perché non portasse dei calzari.
Felris era diretto alla Cappella della Luce, dove tutti i sacerdoti sopravvissuti agli Oscuri si trovavano, nascondendosi nelle sue catacombe. O almeno così aveva detto il Kaldorei. Quest’ultimo guidava il gruppo di viaggiatori, seguito da Yazeed e Akhouma in sella ai loro pony e dallo stesso Z a chiudere la compagnia sopra il suo ronzino dal pelo grigio. I quattro non avevano imboccato la strada principale, così da evitare le pattuglie degli Oscuri che avrebbero potuto incrociare il loro cammino. Questo nonostante le parole di Felris, il quale sosteneva che gran parte dei nuovi dominatori di Azeroth si trovassero in quel momento a nord.
“Si trovano a Northrend”, disse al secondo giorno di pioggia, “stanno ancora cercando di entrare in quella regione rigogliosa, si, il Bacino di Sholazar. Figurarsi, sono anni che ci provano, ma quel posto sembra essere protetto da un potere misterioso.”
“E tu come lo sai? Sei stato lì?” chiese Yazeed.
“No, mio piccolo amico. Ma ho viaggiato molto. Ed in ogni luogo in cui sono stato qualcuno raccontava questa storia”, aveva risposto il sacerdote con la sua voce profonda.
Quel mattino invece era stato Z a porre una domanda a Felris mentre lui era seduto con la schiena appoggiata contro l’irregolare ed appuntita roccia di una piccola caverna delle Terre Infette Occidentali, mentre il sacerdote pregava. “Cosa mi sai dire della tua Regina?”
Felris rispose restando immobile, seduto con le gambe incrociate, il busto leggermente piegato in avanti e le braccia protese al cielo.
“Manco da troppo tempo dalla mia patria. Io ricordo una Yeonlang amante della natura, che amava le volpi, che si incantava nell’ammirare il creato della nostra dea.” Un movimento quasi impercettibile mosse le palpebre di Feldris. Z poté quasi vedere il rammarico negli occhi del sacerdote dietro di esse. “Ora nei miei pellegrinaggi sento invece parlare di una donna che prende la cautela per codardia e il dissenso per sfida.”
“Si è venduta agli Oscuri…” rispose Yazeed raggomitolato tra le pellicce, la voce attraversata dai brividi di freddo. “Non sarebbe certo una sorpresa se fosse così.”
Felris aprì gli occhi, abbassò le braccia, guardò lo gnomo. “E che scelta aveva? Avete visto in che condizioni si è ridotto Azeroth? Un grande, enorme ammasso di rovine. Cosa resta? Solo qualche sopravvissuto che si nasconde in villaggi distrutti, disperati che si sono dati al brigantaggio e quei sognatori che giocano alla guerra.”
“Sognatori?” Intervenne Akhouma. “Perché dici così? Non credi alla loro causa?”
“Credo a quello che vedo. E quello che vedo è come il Lord dell’Infinito ha ridotto il mondo.”
Quel nome, quel titolo distolse Z dai suoi pensieri. Certo, anche lui si era reso conto di come fosse ridotto il pianeta Azeroth a causa degli Oscuri, ma da quando avevano lasciato le rovine di Brill, l’elfo del sangue dall’aspetto anziano non faceva altro che pensare a quella frase detta dal pirata Deepwater. “Ho sentito che uno sciamano del Circolo della Terra è andato da lei per negoziare e lei l’ha consegnato agli Oscuri che l’hanno bruciato vivo. Altri pirati giurano di aver visto la sua testa su una picca nelle mura del Palazzo.” Quel pensiero inquietava non poco Z, o forse era più il timore di chi potesse essere quello sciamano.
‘A quanto pare ho poche possibilità di trovare Kharonte, ma se anche Kentel fosse morto… Ho bisogno di alleati per raggiungerlo, da solo non ce la farei mai.’
Quei pensieri lo assillavano, e lo avevano lasciato brevemente solo una volta, quando lungo la strada avevano visto dei fiori solitari sfidare la distruzione di Azeroth. Quella vista l’aveva fatto pensare immediatamente a lei. Aveva sorriso Z, debolmente, un sorriso solo accennato, pieno di malinconia.
‘Le piacevano così tanto i fiori…’
“Hai sentito parlare anche di lui nei tuoi viaggi?” chiese a Felris tornando nella desolazione che lo circondava. Il kaldorei annuì. Per qualche minuto calò il silenzio, disturbato solo dall’incessante scrosciare della pioggia e dal ruggito di qualche tuono in lontananza. Poi, la voce del sacerdote di Elune tornò a riempire l’aria, melodiosa come il tocco delle dita su un’arpa.
“Su di lui si dicono tantissime cose. Nessuno l’ha più visto da due anni. Alcuni dicono che non esista neppure, che sia una figura inventata dagli Oscuri per mettere paura ai sopravvissuti. Altri, dicono che se ne stia rinchiuso nella Torre Nera.”
La Torre Nera, o anche la Torre del Tempo, come la chiamavano alcuni. Z aveva sentito parlare di quel luogo, ma anche lui aveva ascoltato solo dicerie, voci sussurrate. Si diceva che questa Torre si trovasse dove un tempo si trovava il Crocevia, a Kalimdor. Si diceva che fosse inavvicinabile, circondata costantemente da una tempesta. “Si riesce a vedere solo una Torre diroccata oltre il velo di polvere e magia che la circonda”, aveva sentito dire. Alcuni avevano anche provato ad avventurarsi in quella tempesta, ma non avevano più fatto ritorno. Alcuni sostenevano che si potessero sentire addirittura delle voci all’interno della tempesta. “Le anime dei poveri sfortunati che hanno tentato di attraversala”, dicevano.
“Ma la Regina Yeonlang crede fermamente nella sua esistenza”, stava dicendo intanto Felris.
“E cosa gli da questa convinzione?” La voce di Yazeed lasciava trasparire più curiosità che timore.
“Sharuk”, rispose l’elfo della notte. “Il suo oracolo. È un druido, afferma di essere fuggito dalla Torre Nera. È un tipo strano, a volte dice frasi senza senso… ma la Regina sembra fidarsi di lui.”
‘Fuggito… o magari lasciato andare’, pensò Z. Una grande ombra oscurò ancora di più il cielo sopra le loro teste. Mentre alzavano gli occhi, il gruppo udì il ruggito del drago che solcava i cieli. La possente figura si allontanò ben presto all’orizzonte.
“Una ronda” disse Akhouma. “Dovremmo essere sempre più cauti.”
Una goccia d’acqua scivolò lungo la fronte di Z. Era gelida, come il vento che proseguiva nel suo ululato. ‘Fredda come le rovine di Azeroth.’
Per un po’, nessuno parlo. La pioggia continuava a cadere.
Illustrazione in evidenza di Mateusz Michalski