La pioggia cadeva fitta nelle Radure di Tirisfal quando Hulfrid arrivò alle Rovine di Lordaeron. La diroccata capitale del regno si trovava davanti ai suoi occhi, stagliata in quel cielo cosi grigio, così cupo, come se volesse riflettere quello che restava di una terra una volta rigogliosa, un regno una volta glorioso. Era notte, la zona era completamente deserta.
Probabilmente, Hulfrid avrebbe sentito freddo, se fosse stato sensibile alla temperatura esterna. Ma non era così, lui era abituato al freddo, anzi, aveva dimenticato il calore già da molto tempo, da quando aveva perso la vita durante la Terza Guerra. Era casa sua quella, o quasi. Prestava servizio in un villaggio vicino, Brill, e non aveva avuto spesso l’onore di farlo nella capitale. Poi, un giorno, era tornato il Principe Arthas, ed Hulfrid era stato chiamato per assicurare la sicurezza dei cittadini in quel giorno speciale.
Ricordava il clima di festa di quel giorno, le campane avevano suonato sin dall’arrivo del Principe in città, i nobili ed il popolino erano accorsi da tutto il Regno per dare il bentornato a quel giovane paladino, tutti gioiosi, tutti pronti a festeggiare la fine di quella pestilenza che aveva portato Arthas nel profondo nord del mondo, a combattere il male per liberare il suo popolo. Ma quel giorno di festa si tramutò presto nel giorno più nero della storia di Lordaeron. Arthas era cambiato. Non era più il Principe amato dal popolo, era diventato spietato, crudele. La festa si era trasformata in un massacro, ed il principe aveva ucciso Re Terenas e tutti i presenti. Hulfrid ricordò come anche lui aveva combattuto per proteggere quelle persone, ma alla fine, era caduto anche lui. La cosa peggiore era che la morte non fu la fine. Arthas lo rianimò per farne uno dei suoi cavaliere della morte e da allora, aveva iniziato a servirlo.
Quello che era stato un principe ora era diventato il Re dei Lich, e da lui stesso Hulfrid aveva ricevuto l’ordine di recarsi a Lordaeron, per recuperare… un fiore. Arthas aveva detto che si trattava di un oggetto prezioso, ma Hulfrid non riusciva a capire cosa ci potesse essere di prezioso in un fiore.
Il rombo di un tuono riportò il cavaliere della morte al presente, lontano dai ricordi ormai sbiaditi di una vita passata. Iniziò a camminare, ed il rumore della sua armatura pesante nera con striature color cobalto rimbombò ad ogni passo. Dopo aver varcato la grande arcata d’ingresso, lo sguardo di Hulfrid tornò a posarsi sul palazzo reale. Di quello che era stato non rimaneva ormai più niente. Gran parte del palazzo era crollato e rampicanti selvatici ammantavano quelli che erano stati bianchissimi blocchi di marmo pregiato. Il cavaliere della morte alzò lo sguardo e vide un corvo arrivare in volo da est, da una delle torri diroccate e posarsi sul punto più alto della fontana avvolta dai rampicanti davanti a lui. Quello strano corvo sembrava osservare Hulfrid, ma quest’ultimo non ci fece troppo caso, proseguendo avanti, addentrandosi nel palazzo.
La campana, che anni prima aveva suonato a festa per celebrare il ritorno del Principe, adesso era a terra, abbattuta da chissà chi. Un passo dopo l’altro, Hulfrid arrivò all’interno del palazzo. Non aveva tempo per pensare a quello che era stato, aveva una missione e, cosa più importante, doveva ancora rintracciare colei che Arthas le aveva detto tenesse con sé il fiore: Lady Jaina Proudmoore.
Jaina era stata la donna di Arthas un tempo, colei che il Principe aveva amato. I due si erano separati quando Arthas decise di epurare la città di Stratholme, infetta dalla piaga della non-morte. L’incantatrice non aveva seguito il suo amato in quell’atto e si era ritirata a Lordaeron. Da quel giorno, nessuno aveva più visto Jaina. C’era chi diceva che fosse partita per una terra lontana, chi era convinto che non avesse mai lasciato il palazzo reale, e che vivesse in solitudine, rifiutandosi di vedere chiunque.
Hulfrid si aggirò nel palazzo, in cerca di qualche segnale della presenza di Jaina, ma girò per parecchio tempo a vuoto in un clima spettrale, avvolto nel più assoluto silenzio, fatta eccezione per la pioggia che cadeva nei corridoi interni dove il tetto era crollato o per l’ululato del vento tra le rovine. Era tornato alla sala del trono, a mani vuote, le porte che aveva trovato ai lati del palazzo erano vuote o chiuse.
‘Possibile che si sia sbagliato?’ pensò. ‘Qua non c’è nessuno.’
In quel momento, il corvo che aveva visto nel cortile d’ingresso si posò su una finestra distrutta in alto. Hulfrid lo guardò per qualche secondo.
“Non desistere, quello che cerchi è qui.”
Sorpreso da quella voce eterea, le mani di Hulfrid andarono come fulmini ad agguantare le due spade runiche che portava alla cintola. Il cavaliere della morte si guardò intorno, pronto alla lotta.
“Chi va là?” esclamò mentre continuava a girare in tondo.
“Sono quassù” disse la voce. “Ci siamo visti fuori, poco fa.”
Hulfrid alzò immediatamente lo sguardo, ma non vide nessuno. Tranne….
“Tu?” disse abbassando le spade e rivolgendosi al corvo. “Da quando i corvi parlano?”
Il corvo si mosse debolmente. “Da quando i morti camminano?” rispose ironico. Hulfrid notò che non aveva mosso la bocca. Il corvo stava parlando direttamente alla sua mente. “Cerchi Lady Jaina vero? E’ qui, nella stanza del Principe.”
“Ma è chiusa!” Il cavaliere della morte era sicurissimo che lo fosse. “Ho provato più volte ma non si apre.”
Il corvo parlò ancora alla sua mente. “E’ un incantesimo. Lady Jaina non vede più nessuno da molti anni ormai. Prova a bussare quattro volte, ad intervalli di tre secondi da ciascun colpo.”
‘Mi posso fidare di un corvo parlante?’ Hulfrid era dubbioso, ma alla fine pensò che un tentativo non gli avrebbe certo rubato chissà quanto tempo, e si avviò nuovamente verso la stanza che era stata del principe. Lì, fece come gli aveva detto il corvo, bussando quattro volte ad intervalli di tre secondi da ciascun colpo sulla porta. Magicamente, dopo il quarto colpo quella stessa porta si smaterializzò, rivelando la camera interna. Hulfrid si addentrò cautamente nella stanza. Anche qui, i crolli erano stati in una parte della camera. Quadri della famiglia reale giacevano al suolo, così come molti tomi caduti insieme ad una libreria. Al centro della stanza c’era un grande letto con una donna sopra di esso. Un bastone era appoggiato poco più in là, mentre all’estremo orientale della stanza, il cavaliere della morte vide un portale ancora aperto.
Hulfrid si avvicinò al letto, ornato di un grande baldacchino dai colori blu e oro. Nello stesso istante, il corvo arrivò nella stanza, poggiandosi in quella che doveva essere l’unica finestra, ormai distrutta e molto più aperta verso l’esterno di come avrebbe dovuto essere.
Hulfrid osservò la donna sul letto. Era girata su un lato, quello verso un camino ormai spento, rannicchiata su sé stessa. Portava ancora le vesti da apprendista del Kirin Tor, vesti che coprivano quel corpo come un lenzuolo. Della bionda chioma di Lady Jaina non vi era più traccia. I capelli erano grigi, secchi. Il volto scavato, solchi si aprivano sia sulle guance che sulle mani raggrinzite. Doveva essere morta da anni. Hulfrid guardò il corvo.
“Ma è morta, perché non me l’hai detto?” chiese con un filo d’ira nella voce. Anche se forse era più frustrazione.
“Perché tu non l’hai chiesto” gli rispose il corvo nella sua mente.
“Com’è morta?”
Il corvo planò sulla punta del bastone di Jaina e si ci appollaiò sopra. “Di dolore, di solitudine.” Seguì un lunghissimo istante di silenzio. “Ma non temere, quello che cerchi è ancora qui.”
Il cavaliere della morte si alzò di scatto. “Il fiore è qui? Dove?” domandò guardandosi intorno.
Il corvo non gli rispose, ma si limitò a rivolgere lo sguardo verso il portale.
“Dove conduce?”
“Lo saprai quando lo attraverserai. Lì troverai quello che cerchi.”
Hulfrid senza pensarci troppo si diresse velocemente verso il portale, ma ad un passo da esso si fermo di colpo, girandosi verso il corvo.
“Chi sei tu? Perché mi hai aiutato?”
Il corvo alzò un’ala e si beccò su di essa. “Ha importanza?”
Il cavaliere della morte decise che non ne aveva. Lui aveva una missione, se quel corvo aveva deciso di aiutarlo, tanto meglio per lui. Si voltò nuovamente ed entrò nel portale dove arrivò….
…nello stesso posto in cui era prima. Si trovava nel cortile di Lordaeron, ma di una Lordaeron diversa. Il sole splendeva nel cielo terso, i suoi raggi facevano brillare come stelle il marmo bianchissimo delle torri del castello. L’aria era calda, piante di ogni genere e colore ornavano il giardino reale. Prima che Hulfrid potesse guardarsi intorno, due voci lo assalirono da dietro. Due voci di bambini.
“Aspettami Arthas!” Il cavaliere della morte fece per girarsi, ma un bambino lo attraversò da parte a parte, come se fosse un fantasma. Il piccolo non doveva avere più di otto anni, dai capelli biondi e gli occhi azzurri. Si fermò e si voltò verso di lui, ma sembrava non vederlo.
“Dai, Jaina vieni qui!” disse il piccolo. Hulfrid si girò indietro, e venne attraversato da un’altra figura, una bambina.
“Non correre così, lo sai che non ti sto dietro!” disse la piccola.
“Sbrigati, o il cuoco ci beccherà e lo dirà a mio padre!” il piccolo Arthas prese la mano della piccola Jaina ed i due corsero insieme verso il palazzo reale. Hulfrid li seguì, arrivando dentro la sala del trono. Li trovò altre due figure, questa volta più grandi dei bambini, due adolescenti.
“Ho iniziato i miei studi a Dalaran!” stava dicendo la ragazza. “Tu hai iniziato i tuoi da Paladino?”
“Si,” rispose il ragazzo. “Ma certe volte Uther e così pesante… senza pensare ai doveri a corte. Vorrei poter stare di più con te..”
La ragazza sorrise. “Dai vedrai che troveremo il tempo di stare insieme!”
Poi i due svanirono, come se fossero fatti di polvere ed una folata di vento li avesse spazzati via.
Hulfrid aveva capito. ‘Forse so dove andare…’
Si diresse verso la stanza del principe. A grandi passi arrivò al grande corridoio laterale che portava alle stanze reali, quando improvvisamente si fece notte. Il sole sparì per far spazio alle stelle ed alla luna in una fresca sera d’estate. Proprio di fronte alla stanza di Arthas, vi erano nuovamente le figure del principe e di Jaina. Lei aveva la testa appoggiata sulla spalla di lui, entrambi stavano guardando le stelle dalla balconata che dava sul giardino.
“Quindi devi partire?” chiese l’immagine di Jaina.
“Si, pare che gli Orchi abbiano attaccato un villaggio vicino Strahnbard… Mio padre vuole che raggiunga Uther lì…” rispose l’illusione di Arthas.
“Anche io devo tornare a Dalaran, Antonidas richiede la mia presenza…”
Il Principe si voltò verso la sua donna. La luce della luna illuminava il volto di Arthas. “Mi prometti che non ci lasceremo?”
“Te lo prometto, Arthas. Mai…”
Un’altra folata di vento, e le due figure furono spazzate via.
Hulfrid si avvicinò così alla porta della camera del principe. Non credeva che anche quella fosse sotto un incantesimo come la sua controparte della realtà. Decise per un tentativo più “materialistico”. Appoggiò la mano sul pomello dorato con inciso lo stemma di Lordaeron e fece per aprire. Ebbe successo.
La porta si aprì rivelando una camera accogliente, ordinata, con tappeti sul pavimento, una grande libreria e vari quadri appesi alle mura. Il letto era vuoto, ma davanti al camino acceso c’era una donna, di spalle. Quest’ultima si voltò subito appena sentì aprirsi la porta.
“Arthas!” esclamò con un lampo di gioia negli occhi che sparì però un istante dopo, quando vide Hulfrid. “No, non sei lui…”
‘Può vedermi?’
“Tu…” iniziò incerto il cavaliere della morte, “cosa sei? Un fantasma? Un’illusione?”
Lady Jaina Proudmoore, o quella che sembrava essere lei, non si voltò.
“Io sono il dolore. Sono un ricordo.”
Hulfrid non capiva, ma passò subito al punto. “Hai con te un fiore?”
Jaina si voltò a guardarlo. “Intendi questo?” L’incantatrice aveva nella mano un Fiore della Pace. Doveva essere per forza quello, era l’unico fiore che Hulfrid aveva visto durante quella bizzarra avventura.
“Si, quello..” disse con cautela.
“Questo fiore,” replicò Jaina, “me l’ha regalato Arthas prima di partire, mi ha detto che mi sarei ricordata di lui.. Ed è così! Se non guardo questo fiore, non ricordo niente… chi ero, cosa facevo…. E’ questo che mi ricorda di me… e di noi.”
‘Ecco da dove arrivavano le visioni… e da dove viene questo posto.’
“Come sta Arthas? Tu lo sai?”
‘Dovrei dirle che adesso è il Re dei Lich? Questa donna ha sofferto abbastanza…’
“Lui… non è più quello che conoscevi…”
“Capisco” rispose lei. “Non è cambiato niente, allora…” la voce di Jaina era triste, malinconica, rassegnata.
“Ascolta, però vorrebbe quel fiore che hai in mano… mi ha detto che è un oggetto prezioso, e mi ha mandato qui a riprenderlo.”
“Davvero?” un lampo, un brevissimo lampo di luce attraversò gli occhi dello spettro di Jaina.
“Si, però…” Hulfrid fece qualche passo in avanti portandosi vicino alla figura di Jaina. Nonostante il calore della stanza, quel corpo emanava una freddezza glaciale, era privo di vita. Anche i suoi lineamenti erano freddi e spenti. “Credo che se porterò via questo fiore da qui, questo posto… tu…”
Jaina non rispose subito, ma porse il fiore al cavaliere della morte. “Non ha importanza, prendilo. Questo sembra un luogo felice, ma c’é solo sofferenza… ed io non voglio soffrire più… sono stanca. Portalo da lui, magari restandogli vicino lo farò tornare quello di un tempo.”
Hulfrid non disse niente, si limitò soltanto a prendere il Fiore della Pace dalle mani di Jaina. Immediatamente dopo, tutto intorno a lui iniziò a svanire, mentre l’incantatrice tornava a fissare il camino acceso.
“Addio, Lady Jaina…”
Poi Hulfrid iniziò a correre, fino a quando tornò al portale nel cortile e lo attraversò, tornando nelle spettrali rovine di Lordaeron. Del corvo non c’era più nessuna traccia. Nel più assoluto silenzio, il cavaliere della morte Hulfrid attraversò e si lasciò alle spalle il palazzo reale di Lordaeron, con la pioggia che continuava a cadere, unica compagnia tra gli echi del passato.
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